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venerdì 30 dicembre 2011

Jovanotti: Capitano di (s)Ventura

Proprio mentre scrivo apro il sito di Lorenzo “Jovanotti” Cherubini ed è una sorpresa non trovare più la foto di Francesco Pinna in homepage, il giovanissimo ragazzo triestino rimasto schiacciato sotto l'impalcatura qualche ora prima che il concerto iniziasse e potesse goderselo.
Così c'è spazio per il nuovo video Ora, e il post con la foto di Francesco è già in basso, pronta ad essere definitivamente cancellata dalla mente e dal cuore di milioni di fan, di Lorenzo stesso. 
Quello che è successo però non dovrebbe passare inosservato, sopratutto dai media, ma la legge del più forte, nella finanza, conta più di parlare schiettamente, questo è certo.

Francesco non è stato vittima della fatalità, non è stato vittima della necessità (per montare un palco senza contratto e sicurezza): Francesco è stato vittima del sistema discografico che ha portato la concezione di “concerto” a quella di “spettacolo”.
Il mio primo concerto fu proprio di Jovanotti, nel tour di “Capo Horn”, la prima canzone Raggio di Sole veniva eseguita con i musicisti sospesi a mezz'aria sopra al palco: pensavo fossero così tutti i concerti, pensavo fosse scontato il ricorso agli effetti speciali.
Fortunatamente dal primo concerto ne sono passati qualche centinaia sopra, dal primo concerto-spettacolo, è passata una marea di musica, suonata e basta, con uno sfondo nero e un annoiatissimo light-designer pronto a fare qualche cambio ogni tanto.
Andare ad un concerto significa andare a sentire la propria musica, quella che desideriamo o ci incuriosisce, punto. Chi crede che dare dei braccialetti colorati lampeggianti a tempo, suonare oscillando a tre metri d'altezza o avere un tornado di schermi possa migliorare la qualità della performance è un pazzo, fondamentalmente di musica non capisce un cazzo.

Così anche Jovanotti, paladino di mille battaglie contro le ingiustizie mondiali, si piega al volere del mercato: impalcature pericolose, manodopera a basso costo, inquinamento. 
D'altronde, un album come “Ora” puoi salvarlo solo con qualche fuoco d'artificio, anche se ti fa vendere dannatamente bene e forse, ci scappa anche il remix per la discoteca.

domenica 18 dicembre 2011

Drink To Me: Costruire, Crescere

Non prendiamoci in giro, il mondo della critica musicale è un mondo fatto di persone da gusti ben precisi, amicizie, amicizie desiderate, rapporti con le etichette, con i management. Il mondo della critica, come ho già espresso in un post precedente, come immaginavate già, non è privo di favoritismi.

Ho sempre creduto che fosse un male, lo penso ancora, ma quando si tratta di band del genere non c'è proprio niente di cui vergognarsi: i Drink To Me sono cresciuti e sono orgoglioso di loro come potrebbe esserlo un padre del proprio figlio.

Quando li scoprimmo, all'epoca di GlassHouse, erano poco più che mocciosetti impertinenti (musicalmente parlando) ma mostravano con sfacciataggine un'attitudine alla musica spiccata, all'orecchiabilità, producendo un album ammaliante, privo di qualsiasi filtro, in una parola: stupefacente.
Il secondo lavoro, "Brazil", mostrava la ricerca disperata di identità da parte dei tre, a metà strada tra il primo album e ritmi lontanamente alla battles; il risultato fu un disco difficile, ambizioso, di qualità, per pochi, pochissimi.

Tornano alla ribalta delle mie giornate, con un nuovo brano Henry Miller che è la quadratura del cerchio e li rilancia come una delle band più interessanti nel nostro panorama fatto oramai di cantautori dalla chitarra acustica facile e band d'assalto, da sfondamento.
Se questo sarà il percorso, ai DTM non mancherà nulla, il suono c'è, l'attitudine punk al sangue, al sudore e alla merda anche.

martedì 22 novembre 2011

Radiohead: Essere o Non Esserci?

Ficchiamoci subito bene in testa un concetto: un gruppo così non merita altro.

I Radiohead nel loro percorso musicale sfiorano la perfezione, anzi, la sorpassano, noncuranti delle mode, delle possibilità e delle facili ricchezze, trascinati da un frontman vera e propria anima di un corpo unico e inimitabile.
I Radiohead non hanno mai sbagliato un colpo.
Neanche quando ci fu la svolta con "Ok Computer", neanche facendo uscire due album a pochi mesi di distanza con "Kid A" e "Amnesiac", neanche quando con "Hail to The Thief" fecero un mezzo passo falso con un album difficilmente digeribile, neanche scegliendo per primi la formula up to you e confezionando un album casalingo come "In Rainbows", neanche quando, pochi mesi fa, uscirono con un album ritmico e instabile come "The Kings of Limbs". Questa costante voglia di provarci di nuovo, di interessarsi alla pura estetica musicale fregandosene del resto li ha resi la band più invidiata del pianeta.

Viene da sorridere guardando il sito di TicketOne oggi: l'Italia, con quattro date è il paese più colpito dal tour di "The Kings of Limbs" e guardacaso i biglietti online sono già tutti esauriti.
Perdonatemi la sincerità ma per quanto i Radiohead siano blasonati in tutto il mondo non credo che la loro bravura basti a riempire tutti i posti delle loro date in Italia; non che qui non ci sia un certo gusto critico, ma siamo sicuri che tutti i biglietti già venduti ad una cifra intorno ai sessanta euro siano di "ammiratori" o già di "conoscitori" del gruppo? I Radiohead sono un evento, punto. Lo snobbismo dell'indiepatico non può non portarlo a collezionare il biglietto d'ingresso per esibirlo su facebook, starne fuori sarebbe pericoloso, perché rischiare?
Eppure, nel caso riuscissi a prendere i biglietti giovedì, mi divertirò molto al concerto a guardare le facce attonite di gran parte del pubblico mentre il gruppo parte con Bloom o mentre si lanceranno in una struggente Last Flower To The Hospital, tanto per fare due esempi a caso.
Si, tutto questo mi fa sorridere, ovvio che se dovessi rimanerne fuori, la parola "ingustizia", sarà la più gettonata tra i kleenex sparsi sul pavimento.

domenica 6 novembre 2011

James Blake: L'Arte di Parlare Davanti

Credo succeda qualcosa d'importante sotto il punto di vista professionale a chi tenta questo lavoro, quello del critico musicale.
Dopo centinaia d'ascolti e dischi passati sotto il naso le idee si confondono, nel senso letterale del termine: non riesci più a distinguerle, non le tue, le loro, quelle degli artisti; ti sembra che alla fine, poche eccezioni a parte, qualcuno copi sempre qualcun'altro e se una volta regalavi un sei pieno a chiunque, con il tempo il tiro s'abbassa e per il solito album “indie-pop” puoi dare al massimo un  cinque, un quattro e mezzo.
Credo che la chiave sia proprio in questo, quello che dovrebbe distinguere un critico da uno scrittore improvvisato di blog: la perseveranza, l'ascolto incessante, l'esperienza.
Probabilmente non sono neanche a metà percorso, ma alcune perle credo già di distinguerle.
Fu così con Flying Lotus che seguivo dai primi remix, fu così per gli M+A da iper-indipendenti al lancio su Monotreme, sono sicuro sarà così per James Blake.
E' lui che ha sconvolto letteralmente la musica dal duemiladieci ad oggi, quando come al solito pensavi fosse già stato detto tutto, anche nell'ambito dubstep, “la nuova frontiera”, arriva questo ragazzino dell'ottantotto che prende l'elettronica, la condisce con tastiere massicce e sfrutta il silenzio come un arma, come tratto distintivo. 
Blake è un artista: ha indagato le profondità della musica, in questo conflitto a fuoco tra chi fa più rumore ed è arrivato alla conclusione che solo il silenzio potrà salvarci, potrà darci qualcosa in più.
Anche nella sua condotta, così pacata, lontana dai riflettori, dal brusio e dalla ricerca dello stupore costante non ha fatto altro che aumentare la mia ammirazione verso di lui, come se non gliene importasse molto della copertina o della recensione, sicuro di sé e del suo contributo a quest'arte che tanto ha bisogno di persone come lui.
In soli due anni ha sfornato già un album e quattro ep, il quinto arriverà a Dicembre 2011 e l'attesa sul web cresce come se s'aspettasse l'undicesimo comandamento: James Blake è il futuro, perlomeno cerca di darci una chiara visione di ciò che ci aspetta, perlomeno ci ha dato ancora speranza, il gusto di sapere cos'altro potrebbe arrivare, il gusto di spalancare gli occhi e leggere di un ventitreenne affamato che dichiara: “I wanted to make sounds I'd never heard before”, commovente. 

domenica 23 ottobre 2011

Tom Waits: La Salvaguardia del Patrimonio

E' da qualche giorno che avrei voluto parlare di Tom Waits, sapevo già su cosa puntare l'articolo, mi mancava la scintilla.
E' stata l'intervista a Gianfranco Fini da Fazio, questa sera a illuminarmi.
Si è parlato di pensioni, del futuro dell'Italia, come se non ci fossero esempi da seguire e l'ovvietà non fosse fuori dalla porta. Fini ha proposto di alzare l'età pensionabile, far fare ai nostri genitori qualche sforzo in più per creare un fondo per i giovani e per far risparmiare lo stato. "Un piccolo sacrificio" l'ha chiamato, come se non avessimo l'impazienza di iniziare, come se quei due anni in più non ruberanno posti alle nuove leve, come se i nostri genitori avessero ancora la forza di fare altri sforzi dopo tutti i sacrifici fatti.
Tendenzialmente sono contrario ma non voglio iniziare qui una disputa politica.

Quello che importa è che in fatto di musica quest'idea di Fini si potrebbe concretizzare nella figura di Tom Waits. A sessant'anni Tommaso ha ancora la forza di uscire con album come "Bad As Me", prendere a schiaffoni la discografia mondiale, le cosce di Rhianna, il trucco di Lady Gaga, le movenze dei Maroon 5.
Si piazza nella nostra giornata con un tempismo perfetto, con canzoni sporche di polvere, ingiallite nella loro maturazione ma sature di contemporaneità.
La testimonianza di Tom Waits è quella di un uomo che crede ancora nella bellezza, nella qualità, nella musica vera, nella propria singolarità, nei propri difetti in un album che appare già dal primo ascolto perfetto e fondamentale. E' una vera e propria lezione di musica: nelle ballate sempre più sporche e nei pezzi più scalmanati dove Waits non perde la sua voglia di sperimentare e sbagliare, tentando di nuovo, strizzando l'occhio maggiormente all'ascoltatore e condensando il tutto in una manciata di minuti.

La battaglia per far entrare Waits nei patrimoni dell'umanità inizia oggi stesso, è una promessa.

martedì 11 ottobre 2011

RockIT: La Meritocrazia Made in Italy

RockIT è la principale webzine d'informazione musicale riguardo le band italiane, quello che dice RockIT per molti indiepatici diventa legge, vedi il caso già accennato dei Ministri. Le linee guida sono proposte ed esaltate in vari modi, per colpire l'attenzione e garantire all'artista di turno il dovuto successo.
Che le case discografiche non entrino in questo "affare" è piuttosto improbabile anche se spesso è l'amicizia con i componenti delle band che muove gli articoli o gli approfondimenti, spesso è l'antipatia verso altri che li porta fuori dal circuito, spesso c'è anche una buona dose di critica e certi dischi non possono davvero non metterli in prima pagina.
Dell'ultimo caso fanno parte gli M+A, che nonostante siano stati ignorati per molto tempo, hanno ottenuto uno spazio importante, seppur breve; del caso "antipatia" fanno parte gli Intercity, che con il loro "Grand Piano" furono i grandi esclusi del 2009, salvo una traccia in free-download sul loro sito; del primo caso fanno parte artisti come i Ministri o come Giuseppe Peveri aka Dente.
Non che quest'ultimo non abbia talento, anzi, il fortunatissimo "Non c'è Due senza Te" mi ha rapito, l'ep "le Cose che Contano" mostrava un Dente in ascesa musicale, il singolo per "Il Paese è Reale" era uno dei migliori dell'intero cd,  ma poi con il successivo "L'amore non è Bello" Dente ha perso la sua forza musicale acquistata, investendo sui testi e sprofondando in un mood avvilito, moscio, che non permette un ascolto prolungato. 
Andando oggi sull'homepage di RockIT c'è come "prima-scelta" il nuovo album del Peveri "Io Tra di Noi": un disco tutto basato sui titoli delle canzoni e sui testi, che si accende e si fa apprezzare in pieno solo nella decima e undicesima traccia, un buon lavoro, ma si poteva fare di più. 
Più in basso, sempre in homepage, l'album "Colonna Sonora Originale" di Roberto dell'Era , bassista degli Afterhours, che sarà anche sfacciatamente '60s ma è di una qualità e di una varietà clamorosa, sopratutto se lo confrontiamo con "Io Tra di Noi".
Dente però è molto simpatico, una persona brillante, esce con Ghost Records che di soldi ne ha e il tour non può fallire. 
Dente è già il nuovo Battisti, il nuovo De Gregori addirittura e oramai non si può prescindere.

lunedì 3 ottobre 2011

Lady Gaga: la Visibilità, Sempre

Cosa fa di una cantante una star? 
Probabilmente le vendite, il successo mediatico, i concerti negli stadi da tutto esaurito: questo fa di una cantante una star, un'artista come ce ne sono poche, il talento sopra ogni cosa fino ad arrivare alle stelle.
Lady Gaga è una star.
Dopo il diciassettenne Justin Bieber è la seconda voce al mondo con più "like" su facebook, milioni di copie vendute, successo mediatico garantito e concerti negli stadi da tutto esaurito, anche se Lady Gaga, in fondo, non è niente: è commercio.
Anche se Lady Gaga, in fondo, è come la Nutella.
Tutto ciò che le gravita intorno è oltre la musica, è oltre le note e il suo saper suonare il piano. Lady Gaga è un ex-spogliarellista, Lady Gaga si traveste e parla come un uomo, Lady Gaga ha i capelli blu, rossi, gialli, marroni, verdi, verde acqua e ultimamente è sorretta da Frank, perché Lady Gaga che indossa tacchi alti, altissimi, non riesce a camminare da sola, come un'anziana.
Tutto questo per sopperire ad una carenza artistica? Forse si, anche se la star newyorchese suona e canta discretamente, niente di più, ma sopratutto perché giornali come Repubblica e chissà quanti altri nel mondo parlino di lei; non importa se c'è un nuovo singolo, un buon arrangiamento: se veste i panni di Jo Calderone sarà un sicuro successo. Lei è la nuova frontiera, più di Madonna, che ha letteralmente sconvolto il mondo della musica pop, più di Britney Spears che doveva essere sua erede, più di Christina Aguilera che ha una voce pazzesca: Lady Gaga, qualsiasi cosa faccia, si vende più della Nutella.
Se si potesse mettere in un barattolo, negli scaffali dei supermercati, spalmeremmo quintali di Lady Gaga sul nostro pane, la nazionale di calcio italiana vincerebbe un mondiale grazie alle sue ricche colazioni e milioni di persone si chiederebbero: "che mondo sarebbe senza Lady G.?" 

Forse lo stanno già facendo.

venerdì 23 settembre 2011

R.E.M.: Svegli, Appena in Tempo

I Rem stanno bene su tutto, come gli accappatoi a righe, li puoi mettere su tutto.
C'è la canzone per la festa, per il momento di riflessione, per piangere guardando fuori mentre piove, per sorridere. I R.E.M. sono totali.
Il cantato di Michael Stipe è di una grazia disarmante, passionale, coinvolgente, non può non piacerti.
Dopo trentun'anni di carriera la band statunitense ha deciso di darci un taglio e, finalmente, di sciogliersi.
Perché "finalmente" vi starete forse chiedendo? Perché i R.E.M. già dal magnifico album "Up" hanno iniziato a soffrire di quella malattia per niente rara che si chiama "commercializzazione forzata", una malattia che colpisce tantissimi gruppi, anche giovanissimi, ma si accanisce sopratutto con le band storiche del nostro pianeta.
Ne sono un altro esempio gli U2.
Una carriera meravigliosa che viene strizzata come un panno umido per far uscire le ultime gocce, anche se il gruppo è piuttosto prolifico come i R.E.M., si tende sempre e comunque ad anticipare l'uscita, per iniziare un nuovo tour e accontentare il pubblico, farlo spendere.

Quindi mi dico: "meglio così, no?"
Ma facebook mi da torto, la notizia viene accolta come se Stipe fosse deceduto, come se l'aereo con l'intera band fosse scomparso in mare, le persone iniziano a postare video che ritraggono la band, c'è gente che piange e temo che sia solo assuefazione, solo un abitudine che ci hanno imposto.
Preferisco così invece, aspettare, vedere cosa combinerà Stipe da solista, perché combinerà qualcosa, e poi magari, tra qualche anno vederli riuniti per suonare ancora insieme, magari con un album ragionato per due-tre anni, voluto dalla band e non dall'etichetta, questo mi piacerebbe. 
La qualità è sempre meglio della quantità. Sempre.

giovedì 15 settembre 2011

Coldplay: Il Calore dei Soldi

Inauguro con i Coldplay una nuova rubrica di GimmeToro dedicata a tutte quelle band, a tutti quegli artisti, promettenti all'inizio e poi persi in un mare di grana. Saranno i nostri OGM, i nostri Gruppi Discograficamente Modificati per arrivare a tutti e riempire gli stadi.
Quale migliore occasione della loro intervista a Repubblica per lanciare il nuovo disco "Myloto Xyloto"?

La band capitanata da un Chris Martin sempre più a suo agio di fronte ai riflettori (bei tempi quelli in cui, timido, rispondeva alle domande e arrossiva parlando di Jeff Buckley), commenta il nuovo disco parlando di un concept album pieno di vita e di colori, della sala prove come un incontro tra quattro amici che invecchiando vanno sempre più d'accordo, addirittura: "Ci piace fare cose diverse in studio, non abbiamo paura di sembrare stupidi o fare cose ridicole, siamo più liberi senza paura di sbagliare. Abbiamo già sbagliato in passato e dagli errori abbiamo imparato". 
Manca solo la marmotta che confeziona il cd.
La realtà dei fatti è che i Coldplay, dopo il fortunato esordio con "Parachutes" dove mostravano una vena creativa spiccata e un senso della melodia semplice ma efficace, non sanno più come resistere al fascino del denaro, rovinando tutte le loro qualità di album in album, perdendole, arrivando addirittura a duettare con un artista "riempi-pista" come Rhianna in questo nuovo scontatissimo lavoro.
Il singolo Paradise, oltre che mixarsi alla perfezione con Umbrella di Rhianna appunto, è tutto un programma: c'è già il coro pronto da urlare tutti insieme al concerto e il ritornello da suoneria per l'iPhone. L'altro singolo "scappato" (appositamente, tutto marketing) dalla rete, Charlie Brown, ha un riff di chitarra post-liceale che fa venire la pelle d'oca e la cantilena della strofa ha sempre quell'aria di già vissuto che piace tanto ai discografici.

I Coldplay per me rimarranno sempre quelli di Shiver quando sapevano unire la loro voglia acerba di stupire con la purezza della semplicità. 

lunedì 12 settembre 2011

M+A: -56 Giorni al Lancio su Monotreme

Poi ecco, che in tutto l'anonimato italiano, ci sono delle primizie che vanno assolutamente colte.
In tutti i lavori mai pagati riguardanti il mondo musicale ho sempre cercato uno spazio per promuovere gli M+A, band forlivese con un senso spiccato per la bellezza musicale, per la grazia e la completezza.

Furono loro ad inviarmi il primo disco, io che richiesi subito il secondo, perché dopo l'ascolto di Soundtrack, rinunciarvi era impossibile.
Così dopo mesi passati a consigliarli, condividerli, implorare etichette e riviste specializzate di spingerli il più possibile, ricevendo sempre pareri positivi, solo un paese così assonnato come l'Italia poteva farsi scappare un duo di questo genere.
Mentre loro faticavano a farsi conoscere, a suonare dal vivo sfuggendo di mano ai palchi più importanti, ecco che l'inglese Monotreme arrivava ad accaparrarseli, decidendo di produrre il loro terzo disco, quello che li lancerà definitivamente: i due giovanissimi in europa, fuori da logiche d'amicizia e abbracci falsi. 
Così vedremo se rimarranno nell'anonimato oppure, al prossimo concerto, dovremmo prima prenotare il volo aereo.

mercoledì 7 settembre 2011

Chi ha Ministri non ha Minestra

C'è poco da dire, oltre alla presenza sul palco e alla loro simpatia individuale, I Ministri sono un gruppo mediamente evitabile.
E' un peccato, ovvio, perché la band ha quell'attitudine rock spiccata che non vorresti vedere sprecata, sul palco si agitano come forsennati e, anche se non conosci le canzoni e la quantità di sporco sonoro invade l'aria, un concerto, uno nella vita, ci può stare.
La più grande sorpresa è notare la quantità di persone che s'affollano per un loro concerto, incredibile: è come se un grande flusso colorato conducesse tutti gli "indie-patici" al botteghino per accaparrarsi l'ultimo biglietto, c'è persino gente, vista con i miei occhi, che si fa largo fin sotto al palco per urlare i testi, che poi, alla fine, sono il vero problema del gruppo.

Non è solo il cantato labile di Davide a far perdere forza al loro rock potente e ben strutturato, dalle spalle larghe, ma i testi che non riescono mai ad essere sottili, ma sempre espliciti e poco ricercati, confrontati con Il Teatro degli Orrori siamo di fronte ad un divario che farebbe abbassare il capo a qualsiasi musicista, anche il più convinto e lo spronerebbe a migliorare. La pubblicità però, il look e le riviste piene di ipocriti hanno costretto I Ministri a vivere nell'anonimato completo, succubi di un pubblico che dirige i propri gusti come il vento dirige una bandierina e che presto, alla prima dimenticanza di qualche scribbacchino, sarà già lì ad adorare qualche Masoko di passaggio.
Peccato, perché quando vogliono, anche se si tratta di cover, ci sanno fare.

venerdì 2 settembre 2011

Vasco Brondi: il Risparmio Energetico.


Capita spesso di scrivere qualche riga per un fatto scatenate, a volte però i casi sono più di uno.
Ho mentalmente unito questo sito (Generatore di Frasi VascoBrondiane) alla notizia dell'ultimo concerto de Le Luci della Centrale Elettrica.
Partiamo da un presupposto: il primo disco di Vasco l'ho ascoltato fino ad impararlo quasi tutto a memoria. L'ho seguito sin dalle sue prime apparizioni quando in sala c'erano trenta persone o poco più.
Il talento è evidente e per quanto poi ci si accorga che è il mood complessivo a stupire, più delle sue frasi senza senso fatte di similitudini appiccicate, rimane la delusione per il secondo disco e per un panorama assuefatto in grado solo di consumare.
Si poteva giustificare un autore acerbo alla prima produzione: lo immagino mentre scrive frasi su pezzetti di carta recuperati e scontrini, ma alla seconda prova s'è voluto solo battere sul ferro finché caldo.
Per Ora Noi la Chiameremo Felicità non fa altro che aggiungere carne ad un fuoco spento, la ripetitività è al limite e Vasco è diventato macchietta di se stesso. L'amarezza è d'incontrare un pubblico talmente assuefatto dall'essere "indie" da non poterne fare a meno, che esalta il proprio beniamino e lo porta a suonare all'apertura dei concerti di Jovanotti (chissà cosa avranno pensato i fan di Lorenzo, ignari e pronti ad un concerto frizzante, di tutt'altro genere) e a chiudere il tour con la partecipazione di artisti come Manuel Agnelli che tutto questo successo, così presto, non l'hanno visto mai.
Si celebra un artista frutto della situazione, non la sua bravura o le sue potenzialità, si celebrano "i tuoi cristi fosforescenti come questo cazzo di cantiere delle case popolari".
Premere il tasto "ancòra" è uno spasso.

mercoledì 31 agosto 2011

Frankie Hi-Nrg: Questa cosa del Rap, non ha più senso

Lo sfogo di Frankie Hi-Nrg mi ha fatto riflettere.
C'è stato un periodo, come succede per tutti i ragazzi di dodici-tredici anni, nel quale l'unico genere musicale esistente è il rap. Il rock è per nostalgici, il rap è per "duri", per chi è incazzato e vuole esprimersi. 
Fa figo ascoltare il rap.
C'è scelta naturalmente, verso la fine degli anni novanta ascoltavo a tutto volume Frankie Hi-Nrg e Neffa, imparando a memoria ogni strofa e compiacendomi dei loro passi in avanti, anche quando il secondo dei due ha lasciato a casa le rime e si è dedicato alla melodia. Ho avuto la fortuna di conoscere ed intervistare Frankie: una persona splendida, matura e cosciente della situazione musicale e politica di questo stato.
Non c'è da stupirsi se "questa cosa del rap non ha più senso", guardiamoci attorno: chi porta in alto la nostra bandiera?

Fabri "In inghilterra le ragazze la danno la prima sera, quando si rivestono alla fine del gioco se ne vanno e non rompono il cazzo il giorno dopo" Fibra
Marracash "Ho una bandiera come un cazzo di esercito, ti metto l'asta in culo, ti alzo e ti sventolo"?
Emis "Dammi i soldi, la donna giusta e mi inculo il mondo tanto forte che prende il colpo di frusta" Killa?

Si dividono un mercato sempre più povero, sempre più votato al cambiamento, loro sono gli artefici. E' per questo che spesso la loro musica si confonde con le hit da dancefloor, è per questo che nei loro testi c'è la continua ricerca del facile ritornello e delle parole comunemente usate: servono ad impressionare e vendere.


Il pubblico vero del rap non è quello che loro ricercano.
In Italia con il rap, quello vero, non si fanno i soldoni.
Nel sottobosco qualcosa si agita, arrivano gli echi delle loro urla e sono sicuro che prima o poi, quando un vero rilancio culturale ci sarà anche qui, emergeranno.
Nel frattempo mi godo il ritornello di Rap Lamento che solo a leggerlo mi viene la pelle d'oca.