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venerdì 30 dicembre 2011

Jovanotti: Capitano di (s)Ventura

Proprio mentre scrivo apro il sito di Lorenzo “Jovanotti” Cherubini ed è una sorpresa non trovare più la foto di Francesco Pinna in homepage, il giovanissimo ragazzo triestino rimasto schiacciato sotto l'impalcatura qualche ora prima che il concerto iniziasse e potesse goderselo.
Così c'è spazio per il nuovo video Ora, e il post con la foto di Francesco è già in basso, pronta ad essere definitivamente cancellata dalla mente e dal cuore di milioni di fan, di Lorenzo stesso. 
Quello che è successo però non dovrebbe passare inosservato, sopratutto dai media, ma la legge del più forte, nella finanza, conta più di parlare schiettamente, questo è certo.

Francesco non è stato vittima della fatalità, non è stato vittima della necessità (per montare un palco senza contratto e sicurezza): Francesco è stato vittima del sistema discografico che ha portato la concezione di “concerto” a quella di “spettacolo”.
Il mio primo concerto fu proprio di Jovanotti, nel tour di “Capo Horn”, la prima canzone Raggio di Sole veniva eseguita con i musicisti sospesi a mezz'aria sopra al palco: pensavo fossero così tutti i concerti, pensavo fosse scontato il ricorso agli effetti speciali.
Fortunatamente dal primo concerto ne sono passati qualche centinaia sopra, dal primo concerto-spettacolo, è passata una marea di musica, suonata e basta, con uno sfondo nero e un annoiatissimo light-designer pronto a fare qualche cambio ogni tanto.
Andare ad un concerto significa andare a sentire la propria musica, quella che desideriamo o ci incuriosisce, punto. Chi crede che dare dei braccialetti colorati lampeggianti a tempo, suonare oscillando a tre metri d'altezza o avere un tornado di schermi possa migliorare la qualità della performance è un pazzo, fondamentalmente di musica non capisce un cazzo.

Così anche Jovanotti, paladino di mille battaglie contro le ingiustizie mondiali, si piega al volere del mercato: impalcature pericolose, manodopera a basso costo, inquinamento. 
D'altronde, un album come “Ora” puoi salvarlo solo con qualche fuoco d'artificio, anche se ti fa vendere dannatamente bene e forse, ci scappa anche il remix per la discoteca.

domenica 18 dicembre 2011

Drink To Me: Costruire, Crescere

Non prendiamoci in giro, il mondo della critica musicale è un mondo fatto di persone da gusti ben precisi, amicizie, amicizie desiderate, rapporti con le etichette, con i management. Il mondo della critica, come ho già espresso in un post precedente, come immaginavate già, non è privo di favoritismi.

Ho sempre creduto che fosse un male, lo penso ancora, ma quando si tratta di band del genere non c'è proprio niente di cui vergognarsi: i Drink To Me sono cresciuti e sono orgoglioso di loro come potrebbe esserlo un padre del proprio figlio.

Quando li scoprimmo, all'epoca di GlassHouse, erano poco più che mocciosetti impertinenti (musicalmente parlando) ma mostravano con sfacciataggine un'attitudine alla musica spiccata, all'orecchiabilità, producendo un album ammaliante, privo di qualsiasi filtro, in una parola: stupefacente.
Il secondo lavoro, "Brazil", mostrava la ricerca disperata di identità da parte dei tre, a metà strada tra il primo album e ritmi lontanamente alla battles; il risultato fu un disco difficile, ambizioso, di qualità, per pochi, pochissimi.

Tornano alla ribalta delle mie giornate, con un nuovo brano Henry Miller che è la quadratura del cerchio e li rilancia come una delle band più interessanti nel nostro panorama fatto oramai di cantautori dalla chitarra acustica facile e band d'assalto, da sfondamento.
Se questo sarà il percorso, ai DTM non mancherà nulla, il suono c'è, l'attitudine punk al sangue, al sudore e alla merda anche.